La favola ribelle

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Lucille Ninivaggi all’interno della sua seconda casa, lo studio di tatuaggi Roots, in corso San Gottardo 3, a Milano.

La svolta è arrivata quando gli amici le hanno regalato un kit per tatuare e, da quel momento in poi, ha trovato il coraggio di rivoluzionare la sua vita aprendo, tre anni fa, Roots Tattoo, un laboratorio di tatuaggi in corso San Gottardo, a Milano: «Abbiamo creato un posto dove sentirci a casa e dove far sentire a proprio agio anche i clienti, dove potevamo condividere iniziative e collaborazioni». Lucille Ninivaggi era una giovane ribelle che odiava il mondo. Conduceva un’esistenza ordinaria lavorando come impiegata e lasciando che il suo lato artistico venisse soffocato da una vita monotona, infelice e fatta di compromessi: «Mi stava tutto stretto. Volevo disegnare, era la mia vera passione. Quel lavoro mi stavo consumando e mi sentivo mangiata da una vita che non volevo. Ho mollato tutto, per fortuna, ed è stata la mia salvezza». Adesso Lucille è una delle migliori tatuatrici di Milano e, attraverso i suoi disegni e il suo stile, riesce a raccontare la storia che i clienti vogliono sulla loro pelle. Per la seconda puntata de #ilgustodellascoperta siamo andati nel suo studio milanese per conoscere la sua storia.

Da dove arrivi, Lucille? Come ti sei trovata a fare questo mestiere?
«Ho avuto un’infazia difficile e sin da giovanissima, intorno ai 14 anni e poi durante le scuole superiori, sentivo l’esigenza di decorare il mio corpo. Mi sono fatta un paio di tatuaggi e un piercing, che per me rappresentavano uno sfogo, una reazione a un malessere interiore. Da piccola avevo sempre matite e pastelli colorati fra le mani: con i conti e i calcoli non sono mai stata brava, sentivo di voler fare qualcosa che mi desse la possibilità di esprimermi. Infatti, dopo il liceo artistico, sono riuscita a entrare per la prima volta in un ufficio stile. All’inizio facevo le fotocopie, ma con gli anni ho imparato una professione».

Ti piaceva quel mondo?
«Sì, certo, ma nello specifico ciò di cui mi occupavo era sostanzialmente un lavoro virtuale, da computer, mentre io sentivo il bisogno di esternare il più possibile la mia creatività artistica, proprio materialmente. Mentre lì il disegno puro lo avevo dovuto accantonare».

Però avevi trovato un lavoro sicuro che ti dava stabilità economica e, di conseguenza, tranquillità. È ciò che la gente solitamente cerca.
«Assolutamente sì, ma dopo 14 anni è subentrata la sensazione di non essere appagata, di sentirmi quasi incompiuta sotto il profilo artistico che in me cresceva sempre più. Mi stava tutto stretto. E il tempo di disegnare, che era la mia vera passione, era mangiato da uno stile di vita che mi assorbiva totalmente senza soddisfarmi. Gli ultimi sei anni li ho fatti svegliandomi alle sei e mezza del mattino e tornando a casa per cena. Mi stavo consumando accettando dei compromessi che iniziavano a pesarmi sempre di più».

Poi hai deciso di mollare tutto.
«Sì ma, come spesso accade nella vita, è arrivata un’opportunità, un po’ per caso. Il momento della svolta è stato quando i miei amici mi hanno regalarono un kit per tatuare. Da lì a un anno sarebbe nato Roots Tattoo. Volevamo un posto dove sentirci a casa, dove potessimo condividere iniziative e collaborazioni, un negozio che andasse oltre il parrucchiere e lo studio di tatuaggi».

Hai lasciato il certo per l’incerto, non è da tutti.
«Ho avuto anche la fortuna di trovare le persone giuste al mio fianco. Quasi sempre fa la differenza nel percorso di vita. La consapevolezza di rinunciare alla cosiddetta tranquillità per fare un salto, effettivamente un po’ azzardato, era già presente dentro di me, ma è stato il team giusto a darmi la forza. La mia priorità era fare quello che sentivo davvero e non rimanere intrappolata all’interno di un sistema in cui non mi sentivo più bene. Inoltre ho potuto contare sul paracadute della liquidazione dell’azienda in cui lavoravo: è stato fondamentale per mettermi in proprio».

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LuciIle e Alberto Cecotti, motorcycle editor e tester di Riders, durante l’intervista.

Insomma la ricerca della felicità intesa come qualità della vita seppur a scapito di un benessere raggiunto dopo tanti sacrifici. Ci vuole coraggio.
«Ma se non si è soli si è più forti e coraggiosi. È stata la mia più grande vittoria affrontare la paura, questo mi ha fatto sentire forte come non mai e non tornerei mai più indietro, rifarei tutto, dalla sveglia all’alba al licenziarmi con tutta quella paura nel petto. Adesso sto bene».

Da quanto tempo siete operativi?
«È un progetto relativamente recente, sono quasi tre anni che abbiamo aperto Roots, precisamente il 7 settembre 2015».

Come si sceglie un tatuaggio? Ispirazioni?
«Io parto quasi sempre dalle storie dei clienti che si rivolgono a me e, da lì, cerco di trasformare i loro racconti in un disegno. Una volta la mia psicologa mi disse, vedendo dei miei lavori, che riuscivo a rappresentare la malinconia ma con uno sfondo fiabesco, quella malinconia che portavo dentro».

La tua vita com’è cambiata?
«Se prima ero molto impegnata, ora lo sono molto di più ma sono anche molto più felice. Faccio questo lavoro da poco e sono una perfezionista quindi non lascio nulla al caso, voglio sempre migliorare e ciò comporta un coinvolgimento mentale fisso. Ma se desideri una cosa devi investirci del tempo per costruire e realizzarla».

Che rapporto hai con le due ruote?
«Per me sono fondamentali per muovermi in città. Col motorino vado dappertutto, è irrinunciabile. A parte quando fa freddissimo. Quando devo attraversare la città con lo scooter è quasi piacevole. Dalle moto sono attratta come oggetti, ma ci capisco poco, sinceramente, non le vivo in prima persona».

Che genere preferisci?
«Più sono semplici più incontrano i miei gusti, sia come linee sia come equipaggiamento. E questo fa parte del mio approccio con le cose. Preferisco quelle un po’ più vintage, classiche. Come anche per le auto».

Jameson ti ha identificata come testimonial. Perché, com’è Lucille?
«Credo che condividiamo gli stessi valori. Io ho lasciato una vita fatta di certezze ma che mi soffocava per andare incontro a una scelta più coraggiosa, più rischiosa, ma anche più giusta e personale. Una decisione che rispecchia il motto di Jameson, sine metu, che significa senza paura. Sono un uragano di energia, ma sono anche buona e sensibile. Con gli anni ho tolto un po’ di spigoli e sono più malleabile, ma continuo a credere nei valori. Soprattutto penso ci sia da imparare. Quando ti senti arrivato è la fine».

Le BMW R nineT Urban GS 1200 e R nineT utilizzate da Alberto Cecotti e Niccolò Rastrelli per arrivare nello studio di Lucille.

 

Articolo di Alberto Cecotti
Foto di Niccolò Rastrelli

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