Un tam tam dissennato, un cortocircuito incomprensibile, una notizia tragicamente sbagliata e le sue ripercussioni. Colleghi giornalisti, mi rivolgo a voi: “Chi siamo, dove stiamo andando?”

Di Marco Masetti

“Ma allora è morto o non è morto?”. Immagino i dialoghi via qualcosa di elettronico a simulare malamente quello che era il lavoro nelle redazioni prima dell’arrivo di pandemie e turbotecnologia. Forse a qualcuno sarebbe venuto fuori un briciolo di umanità, condito magari da un pizzico di deontologia, mixato con un po’ di mestiere. E invece no.

Nella notte arriva un lancio di agenzia, quella importante, quella che non si discute. Come non si discuteva l’Agenzia Stefani fino al 25 luglio 1943. Lo stato dell’informazione attuale lo si può (anche) leggere attraverso la sgangherata figura rimediata nelle ore precedenti la morte di Fausto Gresini. Che stava malissimo da tempo, ma che era vivo all’ospedale Maggiore di Bologna. Qualcuno ha parlato, si è confidato e ha dato la “soffiata”: Fausto è morto. E parte il lancio. Dopo un secondo le corazzate scendono in battaglia: quotidiani più o meno rosei, emittenti, siti. Sono tutti pronti, qualcuno ha già bello pronto il “coccodrillo” quel pezzo, di solito precucinato in cui vengono celebrati quelli che muoiono. Nessuno si ferma, tutti si lanciano, nessuno verifica. Fino a quando Lorenzo, il figlio di Fausto Gresini, nella notte di lunedì alle 23.00 lancia questo post: “Voglio ringraziare la stampa che ha avuto così tanto tatto nel comunicare e divulgare una notizia non verificata, siete proprio avvoltoi! Il mio grande babbo sta molto male, ma il suo giorno non sarà oggi”.

Ecco, è il mio momento. Non avevo ancora scritto e detto nulla, ma il post di Lorenzo lo rilancio, eccome. Il mio minuscolo contributo alla ricerca non tanto della mitizzata verità, ma di un’umanità persa. La voce gira e iniziano le scuse, le correzioni, i mea culpa. Durati lo spazio di un attimo, perché tutti si sono autoassolti.

Non sono un ragazzino, conosco questa professione da decenni e so bene che, come in tutti i settori ci sono parecchie persone non proprio da prendere per esempio. Qualcuno lo evito, se posso, meglio girare in poca ma fidati compagni. Poteva essere l’occasione per parlarne, magari in camera caritatis, per scegliere una strada meno disumana per lavorare e invece no. Passato un giorno, Fausto muore (alle 10.02 di martedì), i coccodrilli tornano a galla e nessuno inizia a ragionare da uomo. Cioè con umanità.

Fausto Gresini con Daijiro Kato. Era il 2001, anno del titolo del giapponese in 250

Perché l’uomo non comanda più nell’informazione. Tutti sono presi da parole come “piattaforma”, che significa asservimento ad un algoritmo che premia chi è veloce. Non chi è bravo, chi dice la verità, chi non fa strafalcioni e refusi ad ogni riga di testo. Chi è più veloce, non chi verifica.

Ma non mi interessa fare pipponi su dove sta andando la professione (lo so da tempo e non vorrei essere volgare) ma una cosa solo la voglio dire: ho già vissuto storie del genere, anche molto da vicino. E ho imparato che, fino a quando non esce un comunicato ufficiale bisogna stare zitti. Non è bello scoprire di essere orfani leggendo un post su Facebook. Non è questione di essere “antiquati” e di non amare la modernità, è una questione di umanità. Ricordate che per un decennio quello che era il regime più moderno d’Europa e del Mondo si chiamava Terzo Reich.

Due volte Campione del Mondo della 125, nel 1997 Fausto aveva fondato il team Gresini Racing

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