Andrea Pazienza, trent’anni fa moriva la rockstar dell’immagine

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Un artista ribelle, un destino comune a tanti, troppi. Paz «era inimitabile, un talento irripetibile»

«Insomma, che ve lo dico a fare? Guardateli tutti attentamente: ognuno di questi disegni eseguiti a velocità supersonica, ogni segno, ogni parola raccontano una storia, un urlo, un sospiro, un odore. L’odio, il furore, la tenerezza, l’orrore, l’amore. L’amore. È Pazienza, bellezza». È Milo Manara, l’artista che per primo disegnò Valentino Rossi, a forgiare questo ritratto di Paz. Forse il più evocativo, romantico, misterioso. Poche parole scandite da punteggiatura regolare che regalano al lettore l’idilliaco piacere della pausa, dell’attesa, che si manifesta, virgola dopo virgola, in una nuova pagina di vita: Andrea Pazienza – la rockstar del fumetto per la quale Manara provava tanto rispetto e ammirazione da dedicarvi il volto del suo Caravaggio – ha collezionato tante pagine di vita da poterne riempire ancora, anche oggi che non c’è più. Trentadue anni vissuti, poco più di quelli che ci separano da quel 16 giugno del 1988, quando Paz morì per overdose di eroina. Sarebbe oggi un Tarantino o un moderno Picasso. O forse qualcosa di totalmente nuovo, fuori da ogni schema, nel suo essere sregolato, nel suo vivere al confine, genio e sregolatezza della narrazione che il mondo dell’arte rifiuta di dimenticare.

PAZ

Andrea Pazienza nasce a San Benedetto Del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno, il 23 maggio del 1956. Vive a San Severo, in provincia di Foggia, dove scopre il disegno e sperimenta il suo talento: «Il mio primo disegnino riconoscibile l’ho fatto a 18 mesi – dice su Corto Maltese di novembre del 1983 – Era un orso. Questo testimonia quanto era forte in me il bisogno di disegnare». Giovanissimo diventa contitolare della galleria Convergenze, ma è l’esperienza bolognese a segnarne irrimediabilmente l’arte. La frequentazione degli ambienti universitari, specie degli studenti fuorisede che si raccolgono a Bologna da mezzo Paese, è infatti il brodo primordiale da cui fiorirà la sua ispirazione. Quel mondo caotico e scalcinato fatto di politica ed esplorazioni sessuali, recupero di spazi, linguaggi e pezzi di città: la quotidianità bolognese diventa la scenografia all’interno della quale Andrea muove i suoi personaggi.

BOLOGNA, MITO E OMBRA

La città del Dams, dove Paz studiò e che abbandonò a due esami dalla laurea, di Radio Alice, dei collettivi, del fumo: se Bologna era la musa, Andrea era il cantore degli anni Ottanta italiani e delle sue generazioni ribelli, disperatamente alla ricerca dei propri miti. E qui, nell’Emilia del 77, Pentothal, Zanardi, Pompeo impersonavano l’essere giovani durante gli anni di piombo, tra la droga e le bombe che esplodevano nelle nostre città, gli anni degli scontri, dei morti e dell’omicidio di Moro. Andrea Pazienza disegnava e, nel mentre, parlava. Il fuoco e l’energia che divampavano nel petto mentre raccontava, parola e immagine, del ragazzo strafatto sotto ai portici di piazza Verdi dandogli la stessa dignità della citazione letteraria. Con un’abilità e una velocità senza eguali, raffigurava il futuro che s’immaginava per l’Italia, lo stesso che senza tregua si infrangeva di fronte alla realtà.

ARTI

Ma Paz era arte a tutto tondo, perché non c’era solo il fumetto nella sua infinita ed estenuante capacità di creare. C’erano collaborazioni di ogni genere, la pubblicità, i poster, i calendari, i dischi, il cinema e l’insegnamento. «Era il capostipite di una grande scuola che non ha avuto poi nessun allievo prediletto perché era inimitabile, un talento irripetibile» diceva di lui Roberto Benigni, e ancora: «Era proprio lo spirito fanciullesco dello scugnizzo, dell’intelligenza pura in tutti i sensi».

MANCANZE

A trent’anni dalla sua scomparsa Paz lascia tutto il ricordo della sua fresca e inquantificabile energia creativa, l’ossimoro del fuoco che arde e in una notte si spegne, per sempre. Portando con sé tutti i punti interrogativi dovuti e voluti: dove sarebbe oggi Andrea se…? Il ragazzo che sfidava le stelle pronosticando il suo addio al mondo: «Mi chiamo Andrea Michele Vincenzo Ciro Pazienza [… ] io sono il più bravo disegnatore vivente. Amo gli animali ma non sopporto di accudirli. Morirò il sei gennaio 1984». L’artista che raccontava storie di dolore e passione. Sembra quasi di vederlo, ancora lì, nella sua casa di via Emilia Ponente 223, che disegna di primi amori imbevuti di paura e curiosità, mentre parla e agita una mano in aria, i capelli scuri e mossi a incorniciarne il viso, la sigaretta in bocca e il posacenere colmo sul pavimento. La sua creatività piena di vita ha lasciato un segno indelebile nella storia del racconto.

 

Articolo di Francesca La Fata

 

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