Questione di famiglia: Osca, l’ultima opera dei fratelli Maserati

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Il capitolo OSCA va considerato come un “atto secondo” nella storia dei Maserati. I maestri della meccanica che con la GT 1600 Zagato hanno sfornato l’ultimo capolavoro, senza quasi firmarlo

Di Riccardo Casarini

OSCA! Potrebbe essere l’esclamazione dialettale di una nonna emiliana, mentre scaccia le mani-ladre del nipote dal tavolo dei tortelli freschi. È invece l’acronimo di Officine Specializzate Costruzioni Automobili, la casa automobilistica di San Lazzaro di Savena che ha dato alla luce le ultime macchine realizzate, in senso stretto, dai fratelli Maserati. L’Emilia c’entra dunque, perché è proprio nell’alveo della cultura motoristica italiana che i Maserati, nativi di Voghera (PV), hanno trovato terra fertile ed espresso il meglio del loro genio. La marca del Tridente (omaggio grafico al zigànt bolognese, il Nettuno dell’omonima fontana), venne fondata nel 1914 proprio a Bologna, da Alfieri Maserati, insieme a due dei suoi sette fratelli, Ettore ed Ernesto. Ma questo è l’inizio della “prima vita”, quella cominciata da Alfieri. Ce n’è stata una seconda in casa Maserati, quella venuta dopo Alfieri. Quella della OSCA, delle coupé da corsa e di un’unica versione stradale, per difetto fin troppo sportiva, secondo le abitudini dell’epoca: la OSCA 1.600 GT Zagato.

I tre fratelli Maserati, “osservati” dalla foto del fratello Alfieri.

DA SAN LAZZARO VERSO SEBRING – Nel 1947 il trio composto da Ettore, Ernesto e Bindo Maserati, fondò l’officina OSCA, con l’obiettivo di costruire vetture di piccola cilindrata destinate alle corse. S’erano appena lasciati alle spalle dieci anni di consulenza per il marchio che porta ancora oggi il cognome di famiglia, ceduto nel ‘37, sull’orlo del fallimento, ai fratelli Orsi. Quando erano passati solo cinque anni dalla scomparsa di Alfieri. OSCA doveva quindi essere tutta un’altra storia. La loro nuova storia. Roba da artigiani, preparatori e motoristi puri, ancorata alla “vecchia scuola” in un mondo dell’auto in piena espansione industriale. Con la prima creazione, nominata MT4, Gigi Villoresi sbancò al Gran Premio di Napoli già nel ‘48; conquistarono, poi, vittorie di classe e pure il bottino grosso alla Targa Florio, con Ada Pace. Il loro motore bialbero rappresentò presto un valore aggiunto sotto al cofano delle vetture di Fagioli, De Portago, De Filippis, fino ad arrivare a Moss e Lloyd, la coppia che fece conquistare alla OSCA la 12 Ore di Sebring. Partirono con un 1.092cc e ne cavarono, passando per anni di evoluzioni, un due litri a distribuzione desmodromica da 165 cv. Dove la meccanica per autotrazione si confonde con l’arte orologiaia. Arriva anche la grande Fiat a bussare all’officina OSCA, perché i motori dei fratelli Maserati son cosa fina e su alcune eleganti signore torinesi, le 1.500 e 1.600 S, calzano proprio bene.

Un’opera d’ingegno che respira attraverso le grosse narici dei Weber DCOE. All made in Bologna. Carrozzieri Italiani

LA GT 1.6 ZAGATO, UNA SPORTIVA PER POCHI – Vendere auto pronto corsa non è sufficiente a tenersi in piedi, è necessario creare un giro di vendita tradizionale e il target può essere solo uno: quello delle berlinette sportive. I Maserati, partendo così dai loro telai, stringono accordi con importanti artigiani per farli carrozzare. Sono Frua, Zagato, Fissore e Vignale i sarti dei tubolari OSCA. Nel 1960 esce la GT 1.600, nelle versioni coupé e spider. Un “missilotto” dal peso contenuto (860 kg), spinto da un 1.6 litri da 140 cv, assicurato all’asfalto da sospensioni indipendenti e frenato da 4 dischi. Tanto tanto, per quegli anni. Un concetto di sportività un po’ ai limiti, forse pure troppo, per la media. Ne vennero realizzate 127, ma le più quotate sono (ed erano) le serie di Zagato con la classica doppia bombatura sul tettuccio. Tanta tecnica non poteva contemplare certo costi contenuti e l’OSCA GT 1.600, complice anche il prezzo di mercato, non si tradusse in un successo di vendite. Vista poi l’età ormai avanzata di Ettore, Ernesto e Bindo, il progetto venne lasciato al suo destino e la OSCA ceduta, già nel ‘64, al conte Agusta (patron della MV). L’azienda non sopravvivrà che per due anni ancora. A differenza delle sue GT, trasformatesi nei decenni successivi in pezzi da collezione per portafogli pesanti.

Fare auto toste, non voleva certo dire rinunciare ad una buona dose di eleganza. Carrozzieri Italiani

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