Di Fabio Cormio

In questi giorni strani di concitata lavorazione per quello che sarà il mio primo numero, in questi giorni nevrotici di mail a raffica, liquefatti e mascherinati, penso a che roba strana è Riders. Io l’ho amato, travisato, inseguito, studiato negli anni, nei miei tanti ruoli altrove. E me lo trovavo sempre lì, ‘sto stronzetto cartaceo, di fianco ai miei gomiti, una volta a farmi l’occhiolino e un’altra lo sgambetto. Che roba strana è Riders. Per tanti un oggetto misterioso, ancora oggi, e per questo detestabile. Chi non ti capisce ti odia. Riders è un’alchimia, un’essenza impalpabile ma nient’affatto vaga o incerta. Puoi dire «moto, uomini, stile, auto» e non hai detto niente perché Riders mica si fa incasellare da quattro parole. È il custode di un gusto, di un sentire. Che cambia, che si è riplasmato grazie al lavoro degli uomini che mi hanno preceduto, tutta gente in gamba, talenti non banali, ognuno con le sue idee. 

Fatto salvo quel gusto, quel sentire, la mia idea è facile facile. Voglio un Riders universale, aperto al mondo e all’oggi, e che non parli solo a quei quattro bellissimi toppissimi con la motissima, la fidanzata figa e la spunta blu sul profilo di Instagram. Se parliamo solo a loro abbiamo perso, sono settimane che lo ripeto ed è ogni giorno più vero. Vorrei raccontarvi mille cose riguardo alla nostra squadra, alla qualità – umana e professionale – di persone che già c’erano e di altre che si sono unite allo staff. Ma preferisco che le scopriate dalle nostre pagine, presto. 

Per ora vi dico solo che Riders, quella roba strana lì, cambia marcia e si mette in discussione. Perché in tanti ci ispiriamo al passato, ma tutti sogniamo il futuro. 

«Il più bello dei mari / è quello che non navigammo (…)
E quello che vorrei dirti di più bello / non te l’ho ancora detto».

(N. Hikmet)

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