Brutus! Una miscela di ferro, potenza e paura

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Motore aeronautico della WWII da 47.000 cc, telaio da camion datato 1907, trasmissione a catena e 750 cv. Quando al museo di Sinsheim si annoiano…

Articolo di Riccardo Casarini
Foto: Welt, web

Giusto una prima infarinata: il Technik Museum Sinsheim è in Germania, non molto lontano da Stoccarda. Doveste capitare nella regione del Baden-Württemberg consigliamo di farci un salto, perché sappiate che lì dentro troverete stipato ogni bendiddio inventato a partire dalla rivoluzione industriale. Ruote, ali, eliche, razzi e turbine. Di tutto, purché si muova con moto proprio. Non un museo tradizionale, ma una vera collezione di memorabilia in continuo aggiornamento, gestita e diretta da Hermann Layher. 

Ora, qui la storia va più o meno così: era il 2006 quando un Hermann annoiato e forse in balia di visioni provocate da una doppia porzione di apfelringe (golose mele fritte, inzuccherate e ricoperte di cannella), decise di fare come fosse un qualsiasi intrippatissimo garagista: raccattare un po’ di ferraglia sparsa qua e là nei suoi cinquantamila metri quadri e creare dal nulla un nuovo prototipo. Dalla cernita saltano fuori un motore BMW destinato a un bombardiere Heinkel, un telaio American LaFrance recuperato da un ex camion dei pompieri (1907) e dei tecnici esaltati disposti a mettere tutto insieme. Ecco gli umili requisiti del progetto Brutus! Non domandatevi a cosa serva e quali siano le ragioni per farlo, qui non c’è nulla di razionale… per questo la percentuale di figata sale a cento.

Qualcuno ha detto mobilità green?

Era il 2002 quando un addetto buontempone del museo scovò in una discarica spagnola il motore BMW VI, un V12 a 60° raffreddato ad acqua con imbiellaggio misto principale/ausiliare, progettato negli anni Venti per i velivoli militari. Un bel monumento da 47.000 cc equivalenti a circa 54 motori Twinair, praticamente il parcheggio di un fast food pieno di Fiat 500. Il pregevole pezzo di tecnologia tedesca è finito solo pochi anni dopo dritto dentro al telaio American LaFrance, un pregevole pataccone composto da putrelle in ferro che «con trentamila lire il vostro fabbro» eccetera eccetera. I tecnici di Sinsheim si sono occupati di adattare tutto seguendo la massima funzionalità e pressapochismo: ne è l’esempio il cambio a tre marce accoppiato all’assale tramite catene e pure il risicato impianto frenante che agisce soltanto al posteriore. I principi di un go-kart applicati a un mezzo preistorico, un goffo dinosauro capace di fiatare fino a 750 cv a 1.700 pigrissimi giri. Velocità massima troppa o troppo poca, a seconda di come la vediate: 200 chilometri orari. Adesso chiediamoci se saremmo disposti a salirci, noi, a duecento all’ora su quello che sembra il ferro da stiro di Belzebù. 

Hey, Roger

Fatto sta che, una volta completata la Brutus, serviva qualcuno con poca cognizione e tanto stomaco che si prestasse a guidarla… e qui abbiamo il vincitore: Roger Collings, veterano pilota gallese che di paura non ne ha (o forse ha semplicemente venduto l’anima). Grazie a lui sappiamo che la Brutus ai fatidici duecento all’ora ci arriva per davvero, perché l’ha piantata a chiodo, come si dice in gergo tecnico, sull’ovale di Boxberg, un tracciato di prova con due belle paraboliche di cui è proprietaria la Bosch. Ad oggi, l’unico ad averla spremuta per bene è lui. Quindi, ben addomesticata, la vettura è tornata in letargo al museo di Sinsheim, dal quale mette fuori il muso ogni tanto per partecipare a eventi e manifestazioni motoristiche, incutendo massicce dosi di timore e riverenza. Dite, non è l’auto che avreste voluto per i vostri 18 anni?

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