Cosa hanno in comune molti dei protagonisti della stagione appena conclusa? Semplice, l’età non certo verde. Li prendono in giro perché sono lenti a digitare sullo smartphone, ma vincono, eccome!

Articolo di Marco Masetti 

Nella politica mondiale del “tutti contro tutti” che vede contrapposti appartenenti a diverse religioni, generi differenti, colori della pelle, emerge una sola realtà: alla fine dei conti tutte queste “categorie” in lotta si ritroveranno unite nella frequentazione di centri commerciali o di acquisti su Amazon, ad andare in vacanza quando si potrà in mete esotiche predesignate o a indebitarsi per lo stesso veicolo ibrido o elettrico. Ma in assoluto la cosa più stupida che, a mio più che modesto avviso*, emerge è la contrapposizione tra giovani e vecchi. Tralascio volentieri il disastro sociale e culturale prodotto da questa guerra, ma non vi risparmio un sospetto: nel mondo più avanzato la popolazione è invecchiata di parecchio e gli anziani detengono buona parte della ricchezza e, tradizionalmente, sono meno inclini dei giovani alle spese. A pensar male ci si indovina spesso, ma voliamo un po’ più in basso: siamo nello sport, nel nostro sport, dove la guerra dei giovani contro i vecchi, e la risposta di questi ultimi, tocca vette sublimi.

Iniziamo dai campioni del mondo: il giovane Joan Mir vince la MotoGP, ed è bello vedere un ragazzo che è già salito sul tetto del mondo dopo aver iniziato come baby pilota in Moto3, la vera classe dei giovani. Dove però il titolo è andato ad Alberto “Lello” Arenas, più anziano di Mir!

Diciamolo pure con franchezza e supportati da tante discussioni con manager e dirigenti di questo sport: i giovani sono ben visti soprattutto perché costano poco e si possono sostituire senza problemi. Non sono abituati a lottare per i propri diritti e coltivano grandi sogni. Ma vincono poco, almeno in questo crudo 2020, anno nel quale i sogni hanno fatto una pessima fine.

In compenso qualche italiano ha fatto il grande salto, Franco Morbidelli ad esempio, che, da privatissimo della MotoGP, adesso è la seconda forza in campo e leader del pur titolatissimo e ambizioso mondo Yamaha. Dietro i successi di Franco c’è Ramon Forcada, suo capotecnico. Un catalano polemico quando si parla della sua terra, fine ragionatore politico e irremovibile nel seguire la propria linea anche nella gestione di una moto da corsa. Caratteraccio, potrebbe dire qualcuno, ma a 61 anni non hai voglia di star a sentire cose che ti sembrano stupide. Vai per la tua strada, del resto si è già visto che le scelte il buon Ramon le sa fare: ha seguito Jorge Lorenzo con il quale ha vinto, poi è passato con Maverick Viñales che lo ha ripudiato. Da quel momento Maverick ha perso i suoi superpoteri…

Forcada è stato con Lorenzo, dicevamo, esattamente quello che ha fatto, sempre vincendo, Giovanni Sandi. Che di anni ne ha 71 e che quest’anno, sempre da capotecnico, ha vinto il mondiale Moto2 con Enea Bastianini. Sarà un caso, ma l’esplosivo romagnolo è diventato più razionale sotto la guida di Sandi, uno che ha lavorato e vinto anche con Harada e Biaggi. Che feeling ci può essere tra un poco più che ventenne della riviera romagnola e un settantenne dell’Oltrepò? A seguire la coppia nel box si direbbe molto, a conferma che i vecchi insegnano ai giovani che, di loro, ci mettono l’energia e la voglia di affermarsi. Così andava il mondo prima che la stupidità entrasse trionfalmente nei nostri cervelli, ottenebrandoci. Del resto, che dire anche a livello manageriale? Forse che un settantaduenne genovese che all’anagrafe fa Carlo “Carletto” Pernat, reduce di mille battaglie, non certo famoso per lo stile di vita misurato e per l’etica del tempo libero (gentile eufemismo per dire che fuma, beve e tutto il resto) ha avuto fino all’arrivo dell’ultima gara due suoi assistiti in lotta per la conquista del titolo. Fossi un giovane manager rampante, magari fresco di master pagati caro, mi darei fuoco. Come fai a prendere paga da Pernat? Mettiti il cuore in pace, l’hai presa e, non credo ti consoli, Toni Arbolino, il pilota di Carletto arrivato secondo, ha uno staff tecnico che di cognome fa Cecchini, un’autentica istituzione nel Mondiale. Sono padre e figlio, hanno un’esperienza incredibile che viene dalla storia del padre, Giancarlo, da oltre cinquant’anni nel campionato, uno che ha incrociato Pasolini e Agostini, Pasolini e Carruthers, i grandi costruttori e i romantici e agguerriti artigiani pesaresi del Mondiale. 

Date retta, ascoltate chi ha qualche anno più di voi e pensate che se è arrivato a quella età non è proprio scemo. Ve lo dice uno che conosce o ha conosciuto tutte le persone citate nel testo e che ha un solo rimpianto in carriera: non aver potuto “allevare” qualche giovane. Oggi non si può, ci sono il computer e la separazione tra generazioni. Ribellatevi!

 

* volevo scrivere con assoluta e sprezzante superbia. Certe volte, però, fingo di essere ispirato da cristiana modestia…

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