In Suzuki si vince così, seguendo alla lettera il Vangelo brianzolo di Davide Brivio: nessuna polemica, zero voci di mercato né pressioni

Articolo di Marco Masetti

Manca un amen alla fine del mondiale MotoGP, una stagione tremenda per chi l’ha vissuta da dentro, quindi parlo di chi ha lavorato in pista e nel paddock. Gente che ha sopportato pressioni e scomodità, ma in questo caso la passione aiuta a mandar giù l’amara pillola. Però un anno di gare che inizia in luglio e finisce in novembre con gare a raffica e una situazione mondiale (sanitaria, economica e sociale) quanto meno angosciante, genera tensioni e pressioni che possono schiacciare chiunque, anche i giganti.

Vediamo un po’, a volo d’uccello, di cosa si è parlato, urlato, discusso… Materia per scoop destinati al sempre più volatile pubblico che segue le gare tra tv, web, social. Un pubblico sempre più frastornato dal gridato, dalla notizie poco o nulla verificate, dagli acchiappatori di click che, diciamolo pure, un merito ce l’hanno: fanno aumentare le vendite di libri. Forse è un paradosso, ma a me succede questo. Ma queste pressioni, questa situazione liquida nella quale fatichi a trovare lucidità, tutto questo clamore fanno danni anche ai big.

La Ducati ha iniziato la stagione con due piloti sullo zerbino pronti a lasciare la casa madre. Doveva arrivare Lorenzo, che però ha detto «no grazie», salvo rivederlo attorno a Yamaha e all’Aprilia. Poi il crash di Márquez e la Honda che si ritrova con un parco piloti evanescente. Salvo scoprire che Álex Márquez, licenziato dal team ufficiale prima ancora di aver messo la seconda, tanto scarso non è. E il fratello Marc con il braccio maciullato: colpa della sua foga o di scelte sbagliate di qualche medico?

Poi le valvole galeotte della Yamaha, Rossi che se ne va, Rossi con il Covid. E Viñales che perde lucidità e grinta ad ogni soffio di vento, senza dimenticare Quartararo, altro splendido cavallo da corsa che non ha proprio nella costanza di rendimento il suo punto forte. Persino il team Avintia, futura colonia del mondo VR46, è stato sotto l’occhio dei riflettori. E così abbiamo detto tutto.

Solo due mondi sono stati zitti e muti, immersi in un liquido amniotico contenuto all’interno di una bolla impenetrabile: la KTM, che ha fatto vedere grandi progressi e vittorie, e la Suzuki. Della Casa giapponese non si parla nemmeno alla vigilia della gara probabilmente decisiva, incredibile ma vero. Nessuno parla di un pilota, Joan Mir, che sta per diventare campione del mondo. Uno che otto anni fa correva nella Cuna de Campeones. Ovvero la culla dei campioni, campionato promozionale spagnolo destinato ai giovani. Uno educato, sottotraccia, deciso e poco incline a far del cinema. Un po’ come Davide Brivio, il capitano del team Suzuki. Uno che in passato ha gestito squadre e piloti decisamente più impegnativi di Suzuki, Rins e Mir. Ne dico tre: Haga, Biaggi e Rossi, vi basta? Quando sai gestire un giapponese velocissimo, per nulla calcolatore e incline alla copula, un italiano che si trovava male in sella alla Yamaha che definiva «un barattolo» o una star planetaria non hai paura di nulla. C’è molto Brivio nel 2020 della Suzuki. La misura e il non dar troppo nell’occhio, il culto brianzolo del lavoro, il coraggio nel puntare sui giovani.

E tutti a parlar di virus, di mercato, di penalità più o meno giuste, di anabolizzanti. E Brivio e i suoi ragazzi, intanto, alzano la coppa. Senza dar nell’occhio, naturalmente senza eccessi.

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