Ducati Monster, storia di una moto spudorata

  1. Home
  2. Moto
  3. Ducati Monster, storia di una moto spudorata

NUDA E CRUDA, MA SOPRATTUTTO SFACCIATA E RIBELLE. UN PO’ COME LE RAGAZZE CHE LANCIANO IL REGGISENO AI CONCERTI ROCK, PER MOSTRARE A TUTTI LE PROPRIE GRAZIE MA SOPRATTUTTO PER URLARE LA PROPRIA LIBERTÀ. QUALI SONO LE SEI MONSTER CHE HANNO OSATO DI PIÙ?

Di Alfredo Verdicchio

La Ducati Monster non è solo una moto, né una naked come le altre. Lei è la naked per eccellenza, anche ora che, dopo 28 anni e 350mila modelli venduti (traguardo raggiungo pochi giorni fa) non è né la più potente, né la più sportiva, né la più personale. E nonostante una concorrenza sempre più numerosa e “spietata”  è ancora lei (ideata da un giovane Miguel Galluzzi, padre anche della Cagiva Raptor e di altri successi) una delle naked di riferimento. Alla Monster si deve non solo il ritorno in auge del marchio bolognese, che all’epoca non navigava certo in buone acque, ma anche la nascita del segmento delle naked sportive, ancora oggi uno dei più movimentati.

Un mondo che dal 1993 si è evoluto ispirandosi a questa italiana senza veli sia nella continua ricerca delle prestazioni sia in quella cifra stilistica che ha condizionato il design delle moto nate successivamente e che le hanno fatto la guerra sul piano dei pezzi venduti. Una filosofia, la sua, che ancora oggi ritroviamo in alcune sue concorrenti, così come nell’ultima Monster lanciata da Ducati nel dicembre scorso: nonostante le sue linee quasi nipponiche e l’abbandono del telaio a traliccio a favore di un moderno monoscocca in alluminio siano una innegabile fattore di rottura con il passato, la Monster m.y. 2021 porta con sé i geni della sua antenata. Come lei, infatti, punta all’essenzialità e alla sportività, dove la ricerca del miglior rapporto potenza/peso (111 CV su 188 kg in ordine di marcia) non è un vezzo da sfoggiare al bar, ma un vero dogma. Per Ducati è una grande sfida: non solo la nuova Monster dovrà farsi spazio tra moto campionesse d’incassi che sulla carta sfoggiano numeri superiori, ma dovrà vincere anche i pregiudizi dei ducatisti duri e puri, senza poter più contare sul quel fascino tutto italiano che la differenziava dalle rivali.

Il fatto è che, probabilmente, pur perdendo qualche aficionado del tubolare Ducati guadagnerà nuovi proseliti, magari “rubandoli” alla concorrenza. In attesa di quel che accadrà, ripercorriamo le tappe fondamentali della sua storia. Una Top Six desmodromica da leggere tutta d’un fiato.

Monster è ormai diventato quasi un brand a sé: il Mostro lo conoscono tutti, dai motociclisti duri e puri alle casalinghe

1) M900, 1993: IL MOSTRO PRENDE FORMA – Sul mercato arriva lei, una sportiva spogliata di tutto e vestita solo di un serbatoio gobbuto e una sella bassa, appoggiati a quello scheletro d’acciaio che è il traliccio in bella vista. In mezzo ai tubi il pompone ad aria da 904 cc e 80 cv, con distribuzione a due valvole e alimentato a carburatori. Una naked così sfrontata e diversa da spiccare nel marasma delle nude del tempo. Un “mostro” nell’aspetto, nella genesi da Frankenstein (è la somma di “pezzi” presi dalla 900 SS e dalla 851) e nella guida, visto che il twin ad L ai bassi è decisamente scorbutico. Minimalista e dal sapore artigianale, la Monster 900 arriva in un momento in cui non ci sono dirette concorrenti. Tra gli spunti stilistici anche il portatarga a sbalzo e il gruppo pedane pilota-passeggero in un unico pezzo.

Nuda e senza alcun pudore: la M900 rappresentò un autentico pugno in faccia ai tradizionalisti dello stile motociclistico

2) MONSTER 600 DARK, 1998: LA PIÙ VENDUTA – La piccola di famiglia (400 a parte, praticamente destinata al solo mercato giapponese) fa il botto di vendite diventando la Monster più venduta: c’è così tanto da aspettare che Ducati decide di regalare un casco integrale a tutti gli acquirenti per compensarli dell’attesa. Il segreto della Dark, versione basic della Monster 600? Il tenebroso look essenziale e il prezzo contenuto (reso possibile da una dotazione di serie meno raffinata) ma soprattutto il fascino primordiale di una vera Monster.

Nera, essenziale e con un prezzo d’attacco: con la 600 Dark in Ducati riuscirono a fare di una moto economica un oggetto di culto

3) MONSTER S4, 2001: INIEZIONE DI STEROIDI – I tempi cambiano. L’iniezione (implementata l’anno prima sulla Monster 900) e il raffreddamento a liquido prendono il sopravvento, e anche la nuda di Borgo Panigale cede al fascino delle prestazioni estreme. Ecco che allora arriva il Desmoquattro della 916, il gioiello di stile firmato da Massimo Tamburini. Con lei la Monster mette l’accento sulla sportività, guadagnando potenza (101 cv e 9,3 kgm di coppia) e qualche chiletto di troppo (193 kg). Il risultato è una moto emozionante ma forse meno equilibrata, che rinuncia alla proverbiale agilità diventando più impegnativa nel suo ambiente naturale, il misto guidato. Negli anni successivi si evolverà ancora in S4R e S4Rs, prendendo in prestito i propulsori di 996 e 999.

Forse non era la più equilibrata e nemmeno la meglio riuscita, ma la S4 era abbastanza cattiva da piacere. Con un nome così, poi…

4) MONSTER 696, 2008: IL MOSTRO CAMBIA FACCIA – L’ultima della serie “600” porta al debutto un nuovo look, più arzigogolato e distante delle classiche linee Monster. Lo si può definire il primo vero cambio di stile, nonostante il family feeling sia ancora forte. La 696 mette sul piatto ben 80 cv imbrigliati in un telaio a traliccio in tubi, che diffondono la loro voce attraverso due grossi terminali alti. Le stesse soluzioni estetiche saranno poi riprese dalla Monster 1100 (twin ad aria da 94 CV per 169 kg).

2008, si cambia look: la 696 rappresenta la primavera rivoluzione stilistica dalla nascita del Monster

5) MONSTER 1200, 2014: INFLUENZE DA GP – Altro restyling con l’arrivo della 1200 nata per raccogliere l’eredità delle S4: il serbatoio perde le caratteristiche “prese d’aria” frontali e compare un nuovo telaio concettualmente ispirato alla soluzione adottata in MotoGP, anticipando in un certo senso il Front Frame in alluminio dell’ultima Monster. Il Mostro perde qualche chilo (ora 182) e il motore, sempre Testastretta, butta fuori 135 CV e 118 Nm di coppia. è anche l’era dei LED e dell’elettronica spinta: fanno la comparsa i riding mode che intervengono autonomamente su ABS, controllo di trazione ed erogazione della potenza. Entra poi in gamma la 821, la entry-level delle Monster raffreddate a liquido.

Il 2014 saluta un nuovo telaio tubolare che sfrutta il motore come elemento portante, concettualmente ispirato allo chassis impiegato in MotoGP

6) MONSTER, 2021: RIVOLUZIONE O TRADIMENTO? – Ed eccoci ai giorni nostri, forse l’alba di una nuova era. La svolta è quasi epocale, almeno da un punto di vista stilistico, visto che la filosofia resta quella originaria di quasi trent’anni fa. La Monster (senza numeri né lettere) oltre a rinunciare al classico traliccio dà un taglio netto ai chili di troppo, puntando nuovamente sul fascino sportivo della moto potente ma soprattutto leggera come fatto anche da KTM e Yamaha. Non solo: cambia soprattutto look, ora decisamente meno personale (ricorda parecchio una certa MT-09…) nonostante qualche tratto somatico di famiglia sia ancora presente. Ma è abbastanza per portare avanti un’eredità così pesante?

 

Non è forse un po’ poco personale per essere l’erede di una moto che ha fatto del look inconfondibile un asso nella manica?

Contromano: il rebus del 2021
Jeff Tulinius, essere Meatball in un Mondo di poser

Potrebbe interessarti…

Menu