Ho incontrato mio padre

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Su Riders 116, in edicola, lo chef-motociclista Filippo La Mantia parla del suo viaggio in moto da Barcellona a Palermo, intrapreso per raggiungere il padre appena mancato. Un itinerario lungo e difficile, durante il quale la presenza del genitore era fortissima. Un ultimo viaggio insieme prima dell’addio. Un’esperienza simile a quella vissuta dal nostro lettore Riccardo Scarafia che, ispirato dal racconto di Filippo, ci ha inviato questa lettera

Ho incontrato mio padre. La sua immagine a volte si dirada nella memoria a spingere conferma in foto incorniciate per tratteggiare i particolari del volto o la postura.  A volte la password dell’ippocampo apre file meglio conservati, che restituiscono fisicità al suo ricordo, perfino il suono della voce, il passo, la base di muschio della sua colonia.

Oggi l’ho incontrato in deriva di viaggio, scendendo di moto per benzina e caffè, ne ho sentito lo sguardo alle spalle, mi aspettava. Camicia azzurra e pantaloni blu perfettamente stirati, aspetto pulito e ordinato, come si deve in aviazione. Come si deve comunque, ca’ va sans dire. Era stranamente scalzo. Ho temuto si ferisse con un sasso, una sigaretta accesa, nell’impossibile realtà di un corpo senza peso né impronta.

Ho sorriso al suo sorriso nella mia mente, come se quasi quarant’anni non fossero passati, come se il mio grigio e le mie rughe trovassero traguardo nell’essere diventati quasi coetanei. Ho messo le cuffie del telefono, approssimando un tavolo discosto per simulare una conversazione e non cadere in vergogna a mostrare di parlare da solo.

Tra me e il suo ricordo ho appoggiato il mio casco tatuato di simboli a imitazione del suo, dipinto da un commilitone con gli stemmi dei gruppi di volo, che lo distingueva ai comandi del caccia militare. L’ho guardato seduto davanti a me come nelle cene del passato, a casa, al tavolo dove ancora consumo pasto e bevanda e la memoria ha afferrato a casaccio dal casellario cerebrale i frammenti  del richiamo a gomiti stretti e schiena dritta, alla discussione sulla abiura di Galileo, alla descrizione della posizione dell’ala del falco nella ricognizione e per quale cazzo di motivo non capisci che Niki Lauda è un fenomeno.

Ho sollevato la bottiglietta di acqua mossa per un brindisi astemio al suo sguardo vivace che ho visto, dietro ai miei occhi, accendersi al racconto d’istanti dei miei giorni recenti sussurrati a nota bassa di voce per non alterare il silenzioso incanto di averlo così visibile di fronte. Impossibile, per commozione e assurdità, colmare il tempo di un caffè con quello che non abbiamo avuto per confrontarci, avere modo di sapere il suo pensiero di uomo avendo conosciuto solo quello di padre.

Invece lui la dignità di adulto me la concesse una delle sue ultime sere, ricordi? La minaccia fisica nella voce e nello sguardo era per un pari peso non per un figlio. Il male ancora ignoto aveva attaccato il suo equilibrio e quella reazione a evento banale aveva sorpreso anche lui. E il suo scusarsi poco tempo dopo, rammenti? Come si fa da grandi, cancellò definitivamente la mia adolescenza e mi permise di ammirare il suo andarsene senza un lamento. Mi salutò qualche ora prima, seduto sul letto, con un solo lunghissimo sguardo.

Adesso siamo qui a guardarci ancora in silenzio con il sottofondo delle auto in transito sulla strada. Scherzo un po’ con lui, dentro di me, la butto sul ridere per allentare un po’ la fatica di mantenere la mia mente in stand by sulla sua immagine ricreata.

Pronto per andare l’ho fatto salire in sella dietro a me, mentre davo motore e sound alla signora americana con piccoli colpi di acceleratore. Resta ancora un po’ con me dai, almeno fino a quegl’alberi laggiù.

Testo di Riccardo Scarafia

 

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