Con le sue intuizioni ha indirizzato il futuro (ancora attuale) di Ducati. Vicino all’ingegner Taglioni c’era lui, partito dalla gavetta in officina e dall’amore per la meccanica

Articolo di Riccardo Casarini

La storia intera del motorsport si può dividere comodamente in due fasi: quella precedente e quella successiva al processo di iper-qualificazione. Non diversamente da quanto accaduto, in modo speculare, nel mondo del lavoro e più in generale nella società del ‘900. Un esempio generico, per capirci: in passato ogni soggetto era potenzialmente trasversale, si pensi all’abbondanza di figure quali i piloti/meccanici. Via via, però, il “palazzo della tecnica” s’è fatto sempre più grande, complesso e articolato e ogni sua stanza, con ciò, è divenuta stagna, come una moltitudine di sottoinsiemi accessibili solo a chi detiene una complessa e determinata formazione (chi ha le skills in regola). Un processo evolutivo naturale, certamente. In questo modo è però venuta meno la promiscuità e il fascino tipici di alcuni personaggi che sono stati a lungo il sale e l’incarnazione della pura passione, tra questi la figura dei motoristi “vecchia scuola”. Garzoni che si sono fatti strada nel mondo della meccanica a suon di di insegnamenti orali, ore trascorse in officina a sperimentare, ad aguzzare l’ingegno e spremere le meningi per comprendere le complessità. Spesso mitizzati, considerati con il passare del tempo e dell’esperienza come veri e propri guru ai quali va riconosciuto uno status di “luminare” guadagnato sul campo, a prescindere dal percorso formativo. Uno di questi uomini d’antan, senza dubbio, è il grande Renato Armaroli.

Quella trasmissione a cinghia dentata. Dall’officina di Poldino, all’influenza di Taglioni e Savelli

Armaroli nasce a Bologna il 24 maggio 1933. Contaminato da una passione tipicamente emiliana, che non riguarda solo la gastronomia, a soli 14 anni s’infila a lavorare presso la concessionaria di Leopoldo Tartarini, dove c’è un bel giro di Guzzi da competizione; per poi passare alla Mondial (1949) dove incontrerà l’ing. Taglioni che, successivamente, seguirà anche in Ducati (1957). Lì, con un discreto bagaglio già alle spalle, lavorerà sugli storici 125 da gran premio, fino a che la Casa di Borgo Panigale non subirà il ridimensionamento della squadra corse. Una parentesi in Benelli con l’ing. Savelli e poi la Spagna, dove la succursale Mototrans s’è fatta carico dell’eredità corsaiola di Ducati. È qui che Renato, forte delle influenze di Taglioni e Savelli, sviluppa progetti complessi e vincenti quali la Ducati-Mototrans 285 a quattro valvole con doppia aspirazione separata e un prototipo da 250cc con trasmissione a cinghia dentata (stando alle fonti, probabilmente la prima moto al mondo ad adottare questa soluzione). Tornato in Italia, Armaroli finisce per lavorare in proprio con quella che sarà la Armaroli Sport; spesso come collaboratore esterno di Ducati e altri marchi. A questo punto il garzone, diventato meccanico, si fa definitivamente tecnico-motorista, pur senza scomodare titoli e onorificenze accademiche. Roba per pochi, pochissimi… sia inteso.

La “sua” 500 GP, che ispirò la rinascita Ducati

Nel 1972 Renato Armaroli progetta e realizza privatamente la 500 GP bialbero: un bicilindrico a V con le rispettive aspirazioni rivolte al centro, quattro valvole con angolo ridotto e distribuzione a cinghia. Un lavoro richiesto e poi “sbirciato” da vicino dallo stesso ing. Taglioni, accasatosi di nuovo a Borgo Panigale. Una moto che, de facto, è da considerare come la progenitrice della Ducati Pantah che ha poi aperto il “corso desmodromico” in casa Ducati. Un importante tassello per quella che diventerà, per oltre quarant’anni, l’attività principale di Renato: sviluppare motori da competizione. Di ogni genere, ma soprattutto automobilistici, fino a comprendere anche i propulsori per i prototipi di Formula 2 e, in via eccezionale, anche di F1, per la squadra italiana Tecno. A quanto pare neppure l’avanzare dell’età ha costituito per lui un limite, si dice infatti che con la gestione elettronica se la cavi ancora molto bene. Gente trasversale, appunto. Pionieri, di quelli che imparano a muoversi su un terreno senza avere in tasca le mappe. Questa è la definizione! Oggi, anno 2020, la sua officina/laboratorio è ancora là, poco fuori Bologna.

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