Shirley Muldowney, l’ossessione per la vittoria

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Non ha mai aspirato ad altro che non fosse andare veloce e primeggiare. Shirley Muldowney è un’icona tragica, che ha perso tanto nella vita per vincere tutto nelle corse

Articolo di Riccardo Casarini
Foto: archivio Shirley Muldowney, web

Si chiama Shirley Cha Cha Muldowney e non ha nulla a che fare con i balli cubani. Il suo nome lo trovate scritto nella Motorsports Hall of Fame of America e nell’International Motor Sports Hall of Fame. Nell’ambiente del drag racing la chiamano First Lady perché è stata, letteralmente, la prima lady a ottenere la licenza da professionista NHRA nel lontano 1965, quando la specialità era un affare riservato esclusivamente agli uomini. Non si contano le chiappe spocchiose della upperclass maschile americana che ha preso a calci in pista. Il suo palmares è solido granito: 3 NHRA Top Fuel Championship e 18 National Events. Primo pilota nella storia della categoria regina a bissare e triplicare il successo in campionato: 1977, 80, 82. Significa avere il fegato per mangiarsi 400 metri d’asfalto a 500 chilometri all’ora con partenza da ferma, dentro un tubolare fatto di flessibilità, fiducia nella fisica e cartapesta, spinto da 10mila cavalli assetati di nitrometano. Pochi secondi in cui la difficoltà maggiore, probabilmente, è quella di riuscire a ragionare. Fermiamoci, però, non siamo qui a celebrare un perfetto american dream. 

Cambiare strada, alle volte, non è soltanto una metafora

Shirley Ann Roque, nome di battesimo di Cha Cha, nasce nel 1940 in Vermont, non sotto la migliore stella. La carretta familiare è trainata dalla madre, mentre il padre si barcamena nel lavoro e si dà alla boxe senza grandi risultati. È un uomo difficile, oscuro e talvolta violento, confesserà Shirley troppi anni dopo. Si trasferiscono a Schenectady, nello stato di New York, negli anni Cinquanta. Un trascinarsi lento e un tirare a campare, poca vita. Ad aprire una strada pulita nel futuro di Shirley ci penserà il destino nelle sembianze di Jack Muldowney. Jack è un ragazzo di 19 anni che guida una Mercury del 51, Shirley una studentessa svogliata di 16 anni. Tanto in fretta s’innamorano che si sposano. La meccanica e le corse in auto piacciono a Jack e affascinano anche Shirley; è lui a insegnarle come guidare, mentre quella delle gare di accelerazione diventa una prospettiva comune e, nel 1958, i Muldowney alzano la posta: Shirley ottiene la prima licenza per la dragstrip e dà alla luce il piccolo John. Giusto il tempo per lo svezzamento e quello per allestire un’auto entry level che è già in pista, a distribuire imbarazzo tra i tanti che se la sono vista scappare via con il verde del semaforo. Si guadagna pure un soprannome, quel Cha Cha che le rimarrà appiccicato e che comporta il trasformarsi da persona a personaggio. 

Il confronto come misura dei propri limiti

Shirley Cha Cha Muldowney nel 1965 è fresca di licenza NHRA quando sbarca ai piani alti (anzi, veloci) del drag racing. Cinque anni in cui Jack e Shirley dovranno litigare a ogni gara per farsi ammettere, perché ‘sta faccenda che una bella figliola sia pure brava non piace ai commissari e al loro ego posticcio. Nonostante questo, i risultati ottenuti con i front-engine la confermano e, finalmente, compie il salto nella categoria Funny Car, anticamera dei mostruosi Top Fuel. Il cambiamento riguarda anche la sua vita coniugale, quando nel giro dei paddock conosce il pro Connie Kalitta. Shirley e Jack divorziano nel 72 e lei si trasferisce a Detroit insieme a Connie. In quel periodo vince il suo primo National Event, ma la precarietà di quelle vetture facilmente incendiabili rischia a più riprese di arrostirla come un tacchino il giorno del Ringraziamento, quindi trova una ragionevole soluzione nel cercare nuovi sponsor e passare alla guida di un motore posteriore: il Top Fuel di Poncho Rendon. Non è un azzardo, è il suo ambiente naturale; qui il talento di Shirley esplode più dei motori Chevy e nel 77 si aggiudica il titolo nel Top Fuel Championship, con il piccolo (ormai grande) John come meccanico. Di titoli ne colleziona tre in sei anni, infrangendo diversi record e rompendo acidamente anche la relazione con Connie che nell’82, durante gli U.S. Nationals, in un ultimo atto di affermazione, viene annichilito pure sulla dragstrip. Non servirà comunque a vincere l’astio, i tentativi indecenti di offrirle sponsor, il risentimento delle altre del paddock, mogli e fidanzate. Neppure un brutale incidente di gara nell’84, dal quale uscirà con ossa frantumate e postumi indelebili, le impedirà di martellare record già a partire da Pomona, soltanto 18 mesi dopo aver rischiato una paralisi. E così fino al 2003, anno del ritiro di una Shirley malridotta e ormai in difficoltà economica, con tanti ammiratori ma poche relazioni vere, molto precarie, coltivate all’ombra di un’ossessione per la competizione. Oggi, a ottant’anni suonati, il dolore più grande non è nel suo scheletro ma ancora più in fondo, cristallizzato nel rimpianto: non aver potuto salutare per l’ultima volta il figlio John, scomparso nel 2017, quando tra i due correvano malumori. Tutto è folle in questa sua vita, Shirley Cha Cha Muldowney è una donna che conta le cicatrici e non cerca di ripulirsi l’anima. Voleva soltanto vincere, e l’ha fatto.

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