La storia della Casa varesina e la raffica di vittorie mondiali (con Ago e non solo) si fondono con la vicenda professionale dell’inarrivabile tecnico scomparso qualche anno fa

Articolo di Riccardo Casarini

Seguiamo il file rouge, è proprio il caso di dirlo. Dopo aver raccontato di Renato Armaroli, su uno sfondo tinto di rosso Ducati, vogliamo parlare un po’ di Arturo Magni. Raccontarlo e ricordarlo, perché sono trascorsi quasi cinque anni da quando ci ha lasciato. Lo sfondo, serve dirlo? Rosso MV. Se n’è andato a novant’anni suonati creando una voragine nella dimensione italiana del motociclismo. Arturo era (ancora) una bibbia vivente, una babele di aneddoti, dati e numeri, ricordi mai ingialliti perché impressi nella carta impalpabile della sua mente eccezionale, mnemonica e ordinata, com’è quella di un tecnico brillante. Con la Casa di Samarate, in veste di capo meccanico e responsabile del reparto corse, ha vinto un numero impossibile di titoli mondiali: 75. Suddivisi in 38 mondiali piloti e 37 mondiali costruttori. Qualcosa che nessuno mai…

Il collante umano di ogni successo

Quella di Magni è stata per definizione una figura accentratrice e trasversale. Accentratrice, perché l’intero reparto corse MV Agusta per oltre due decadi ha risposto a lui, il solo a gestire un rapporto confidenziale (non facile) e diretto con il conte Domenico Agusta, uomo tanto geniale quanto complicato. Trasversale, perché capace di far correre veloci le MV Agusta, di presentarle in pista con l’organizzazione e lo stile proprio delle grandi squadre, di fiutare il talento dei piloti nelle categorie cadette e gestire l’irruenza dei suoi campioni in squadra, gente tipo: Leslie Graham, Carlo Ubbiali, John Surtees, Tarquinio Provini, Remo Venturi, Umberto Masetti, Bruno Spaggiari, Mike Hailwood, Giacomo Agostini, Phil Read eccetera. Insomma, Arturo Magni è, massimamente, uno di quei personaggi totali e sfaccettati, appartenenti a un motorsport ormai estinto in questa forma.

Il senso aggiunto di ogni cosa

Arturo nasce brianzolo, a Usmate Velate, nel 1925. Inizia a ruminare un po’ di meccanica lavorando sui motori aeronautici, durante la WWII. Terminata la guerra, nel 1947 lavora in Gilera, dove assiste l’ing. Remor nell’assemblaggio del 500 4C da gran premio. Due anni dopo, seguendo proprio le orme di Pietro Remor, arriva in MV Agusta. Anche lì, per lavorare allo sviluppo di un 4 cilindri da GP. Diventa presto un pupillo del conte Agusta, che equivale in prevalenza a un onere, non necessariamente un onore. Perché Domenico Augusta non è uno che vuole vincere, è uno che vuole dominare. Non vuole il gradino n°1 del podio, li vuole tutti e tre. Non vuole avere esito nel massimo campionato, vuole sigillare tutti quelli a cui partecipa, seppur minori. L’onore? L’onore dopo, prima i risultati. E l’uomo giusto è lui, Arturo Magni, che con la sua capacità organizzativa lastrica la strada verso ogni successo MV Agusta. Il suo software gestionale ante litteram è composto da una mole di taccuini su cui appunta ogni dato tecnico, ogni nome di pilota, ogni tempo sul cronometro. Nella sede di Cascina Costa entra ragazzo a 24 anni ed esce uomo, a 51, quando il marchio abbandona le corse e viene quindi meno il suo ruolo naturale. La MV Agusta chiude baracca nel 1977, anno in cui Magni decide di avviare la propria azienda, coinvolgendo anche i figli Giovanni e Carlo. La ditta Magni diventa dapprima una sorta di estensione MV, creando kit di elaborazione dedicati (non robetta, addirittura telai), per poi dedicarsi alla produzione esclusiva avvalendosi di propulsori Honda, BMW e infine Guzzi, dando alla luce modelli mitici, da annoverare tra i migliori pezzi d’artigianato del nostro Paese: MH1/MH2, MB1/MB2, LeMans, Australia 1.000, per citarne alcune. Abbiamo detto subito che avremmo seguito il file rouge, ecco infatti: un anno prima della sua scomparsa, avvenuta nel 2015, Arturo ha visto chiudersi un cerchio della storia con il lancio della nuova Magni Filo Rosso, sulla quale è tornato finalmente un propulsore MV. Come un tornare a casa, andandosene. 

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