«Vale, brillare era il suo destino». Quella volta che intervistammo la mamma

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La battuta che si fa spesso è che a Valentino i geni della velocità li abbia trasmessi lei, non Graziano (che lei chiama «Rossi»), dato che poi ha fatto la stessa cosa con Luca Marini. Stefania Palma è la mamma: «Mi ricorderò sempre un autoritratto di Vale all’asilo. Si dipinse il volto di rosa con degli occhi azzurri brillanti. Erano lucenti. Da quel disegno ho capito che in qualche modo lui era destinato a brillare» 

Articolo di Eleonora Dal Prà

Voce un po’ roca, tono disponibile ma che tradisce emozione. Sembra timida Stefania, quasi imbarazzata dalla figura che riveste e che ha interpretato sempre distaccata, come a non voler disturbare. È l’emozione di chi, pur essendo la donna più vicina alla leggenda del motociclismo, in fondo non si è mai abituata, non si è mai capacitata di quanto sia enorme tutta la baraonda che gira attorno a una delle persone più famose del pianeta. Stefania Palma è la donna che ha partorito, cullato e assistito alla crescita del pilota, del mito, ma anche dell’uomo. Stefania è la mamma di Valentino Rossi. Da sempre riservata e un po’ sfuggente, è stata irretita nella grande giostra del personaggio che però, a lei, ha sempre riservato uno spazio speciale, privato, intimo. 

Valentino ha iniziato da bambino con le corse a livello agonistico. Come ha vissuto l’adolescenza in un mondo di adulti? Era un ragazzino comune o più precoce e maturo?
«Fin da bambino, Vale è stata una persona molto responsabile. Io con lui ho fatto un sacco di cose tanto che per me è stato, oltre che un bambino, un compagno di giochi. Adesso che è adulto mi rendo conto di essere stata forse un po’ troppo fiduciosa, non sono stata una mamma apprensiva, non mi preoccupavo inutilmente. Ho sempre avuto una grande fiducia in lui, sono stata bene e, forse per questo, non mi è mai venuto in mente nessun pensiero negativo. Perché l’ho vissuto con allegria, con lui ho fatto tutte le cose che aveva voglia di fare. In più era una bambino molto attento. Anche a scuola non mi ha mai dato problemi, non dovevo preoccuparmi che facesse i compiti. Era responsabile, anche se non faceva più del necessario. Per esempio, quando è andato a scuola di chitarra, il maestro Ubaldi gli diceva di esercitarsi venti minuti al giorno. E lui si esercitava venti minuti, non uno di più. Nonostante questo, però, durante il saggio di fine anno arrivava quasi sempre primo. È stato una grande compagnia per me, non mi ha mai dato nessun problema, nessun pensiero. Ma forse è anche una questione di compatibilità di carattere, di affinità, di gusti». 

Quindi siete sempre andati molto d’accordo. Com’era con lei, si confidava?
«Quello no, è un tipo riservato. Anche se nei momenti fondamentali della vita, nelle fasi evolutive della crescita, come ad esempio la scelta della scuola da frequentare, ha sempre chiesto il mio parere». 

Dunque l’ha sempre ritenuta una figura di riferimento per le scelte importanti.
«Secondo me ci siamo sempre trovati bene e questo ha fatto sì che vedesse in me una persona con cui rapportarsi e non solo un riferimento dal punto di vista educativo». 

Quali sono le caratteristiche di personalità che accomunano lei e Valentino?
«Credo che anche lui stia bene con me. Non sono una persona che parla molto, sono riservata, penso di non essere una mamma che rompe, non sono stata invadente, l’ho lasciato libero». 

L’ha visto andare per la sua strada e crescere molto velocemente. È riuscita, nonostante questo, a godersi il bambino Valentino?
«Sì, penso che lui mi abbia sempre riservato uno spazio nella sua vita. Ha fatto tutte quelle cose che fanno i ragazzi. Ha avuto molti amici intorno, ho tanti ricordi legati a feste di compleanno, feste in maschera… Siamo sempre stati bene». 

Quindi è riuscito a mantenere anche l’aspetto di una normalità nonostante tutto quello che gli girava intorno?
«Sì, secondo me il fatto di abitare in un piccolo paese dove ci si conosce tutti ha influito molto, è una cosa che ritengo sia stata fondamentale perché aiuta a capire quali sono le cose importanti della vita». 

Come vive la consapevolezza di avere un figlio che è una delle persone più famose del pianeta?
«Su questo lo sai che io ho qualche problemino? Non ce la faccio a capirlo. Non mi rendo conto di quanto sia enorme questa cosa. Anche se ci sono dei ragazzi che mi vengono a trovare e mi chiedono l’autografo! Per esempio una volta ha firmato un cappellino perché un’amica di una mia collega voleva regalarlo al figlio. Sono episodi che mi fanno sorridere, ovviamente mi fanno piacere, ma a queste cose qui non riesco a pensare, sai?».

Si dice che il gene delle velocità l’abbia trasmesso lei a Vale e Luca, che ora sta facendo lo stesso percorso del fratello. Le fa piacere? Ha notato qualche cambiamento nel corso degli anni?
«Un aspetto fondamentale è che tra loro ci sono quasi vent’anni di differenza e, in tutto questo tempo, il mondo è molto cambiato. L’elemento che più apprezzo del loro percorso è la vita sportiva. Adesso la velocità è un argomento difficile, è impegnativo, però quello che mi piace è che, comunque, lo sport è una disciplina che ti insegna le regole, ti insegna il rispetto, ti insegna dei principi fondamentali che tutti dovrebbero avere. Non per forza devi fare motociclismo, però, soprattutto per i maschi che non stanno mai buoni, secondo me una vita da sportivo è una vita importante, ti dà grandi soddisfazioni, a qualsiasi livello si pratichi. Io non riesco a pensare a una vita senza fare niente. L’uomo deve valorizzare la sua intelligenza e impiegarla per costruire qualcosa di importante. Secondo me non bisogna vivere banalmente la vita. Ci sono infinite possibilità per investire su sé stessi, bisogna impegnarsi, in qualsiasi campo». 

C’è qualche aneddoto di Valentino da piccolo che ricorda con affetto?
«Be’, Uccio e Valentino sono amici da una vita, sono sempre stati molto legati e, quando erano piccolini, passavano i pomeriggi insieme sia in casa, sia in giro. Un giorno, mentre stavano giocando fuori, Valentino mi viene a chiamare perché Uccio si era fatto male, tanto che mi ha anche fatto prendere un grande spavento. E mi ha detto: “Eh, correva, è scivolato“. Invece solo qualche anno fa mi ha confessato la verità, ovvero che Uccio era salito su un muretto ed era caduto. Me l’ha raccontata in modo che io non mi preoccupassi tanto. Quindi combinava le sue, ma dimostrava anche una notevole empatia nei miei confronti». 

Ha avuto vicino tre ottimi piloti. Viene da pensare che sia lei ad avere qualcosa di speciale che trasmette a loro…
«Ahahah no, secondo me ognuno ha fatto da solo». 

La sua influenza magari è stata un contributo dal momento che, ciò che hanno in comune, è lei.
«Non lo so, quello forse è stato un caso, non credo di essere io fondamentale, ecco». 

Graziano, Vale e Luca hanno scandito tre fasi diverse della sua vita…
«Certo. Rossi l’ho conosciuto quando avevo 14 anni, per cui ho vissuto tutto il suo percorso fin da quando faceva il cross. E con Rossi, comunque, i sabati e le domeniche eravamo sempre in mezzo ai motori, non si faceva altro. Il suo pensiero fisso era quello: era una vita organizzata intorno ai motori, con l’allenamento, il meccanico… Tutto ruotava intorno alle due ruote, come adesso! Ed è una cosa che mi piace ancora fare». 

Che rapporto ha avuto lei con i motori? Non ha mai provato a cimentarsi in qualcosa?
«Mi sono sempre piaciuti! E, quando Rossi ha smesso di correre e si è dedicato ai rally, gli chiedevo spesso di farmi fare una gara, ma naturalmente mi ha sempre detto di no». 

Come mai?
«Eh, così! Perché sicuramente non mi ci vedeva, non lo so!» 

Valentino ha dimostrato di essersi realizzato non solo come sportivo, ma anche come comunicatore e imprenditore grazie e tutte le attività che ha messo in piedi. Vedeva già in lui queste attitudini? Come l’avrebbe immaginato se non fosse diventato Valentino Rossi?
«Io mi ricorderò sempre un episodio avvenuto all’asilo. Quando inizi ad andare all’asilo ti fanno disegnare, fai l’autoritratto. Io ricordo che Vale si era fatto questo grande autoritratto e si era dipinto il volto di rosa con degli occhi azzurri brillanti. E da lì ho sempre pensato che sarebbe diventato un ingegnere o un medico, che sarebbe stato comunque una persona brava, dalle ottime capacità. Brillante, appunto. Quegli occhi io me li ricordo ancora. Erano lucenti, non so come sia riuscito a colorarli in quel modo, ma erano proprio splendenti, e da quel momento ho capito che anche lui era destinato a brillare». 

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